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STATEMENT | Elizabeth Aro is a visual artist who explores through her installations, objects and research the poetic space and alternative modes of perception of culture and society. In the last years, she produced a group of pieces which focus on the circulation of blood and the way energy travels through the body, building a map which details the structures behind vital flows. Her work proposes an intuitive journey through the geography of emotions, beginning with the first huge pulse of the essential engine, the heart, and which branches out throughout the entire series of sculptures. The association with the actual reality and memories (private and collective) is the underlying motive in her work. By combining images from her own life and diferents inspirations the reality becomes tangible in images. The human figure is also central in her photos. Being interested in the psychological and emotional relationship of human beings with their enviroment, Elizabeth Aro explores the different ways architectural surroundings influence the spectator - both mentally and physically: intervening or integrating, she engages with specific installations, creating pieces of poetic density where imagination and reverie are bleeding into reality. She creates interdisciplinary media installation in gallery context and public spaces including installations photos, drawings and video.
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CATALOGUES | Catalogo Rehenes/Ostaggi en Sala Santa Rita | ||
TEXTS | |||
Finissage Elizabeth Aro pubblicato il 8 gennaio di 2018. Testo di Andrea Rossetti per Exibart L'utilizzo prevalente di stoffe e fili non fa l'artista, proprio come non è l'abito a fare il monaco. Questo perché la specificità poetica di Elizabeth Aro (Buenos Aires; vive e lavora a Milano) non viene decantata solo dai materiali, né dalla blasonante riesumazione della macchina da cucire, strumento prettamente femminile in Argentina e nell'immaginario collettivo utile a qualsiasi casalinga immersa tra orli e ricami. O perché, introducendo il suo lavoro, l'artista dice «sotto l'ago passo di tutto, sperimento diversi materiali». Più a monte c'è qualcosa molto meno esotico per l'intellighenzia dello Stivale, e sta nell'atto di piegare la macchina al proprio volere, sovvertendone con spirito d'iniziativa "alla Munari” la funzionalità. E il cerchio non è ancora chiuso, c'è ancora quell'agire in ottica munariana ma con mentalità femminile, con un'azione che rivendica la propria appartenenza ad un genere senza sentirsi migliore o peggiore, senza dover urlare o mettere striscioni. Senza mascherarsi da uomo o sentirsi una wonder woman. Curare la variabilità del mezzo espressivo è la chiave del successo in una personale tanto mixed media come "Provisorio para siempre”, titolo preso a prestito da un modo di dire molto utilizzato in Argentina. «Lo diceva sempre mio papà» racconta la Aro, facendo capire come dall'unione di tutti i suoi lavori in questa personale trasudi un vissuto, una visione antropologica applicata all'arte contemporanea. E nel suo essere artista la Aro è un po' antropologa dei due mondi, ed è questo a rendere le sue operazioni qualcosa di unico nel panorama contemporaneo, anche nel loro innegabile fondo decorativo. A restituirle perciò la capacità di vestire i panni della fotografa per concentrarsi su scatti che indagano il linguaggio universale e simbolico delle mani, vera novità di questa personale; per tornare poi nuovamente ad utilizzare la macchina di sproposito, piegando l'ingessata creatività del macchinario e dei suoi punti cadenzati a qualcosa di libero, la sua razionalità in un linguaggio imprevedibilmente narrante. Un cucito concettuale nella compressione che attua sui The Others, figure di migranti incerte della propria presenza e chiuse dentro sedicenti "bolle” di filo colorato, sviluppate dall'artista con un atteggiamento compulsivo di tutto rispetto espressionistico. Inevitabilmente, come conferma la Aro, «il filo diventa un elemento pittorico», un tratto grafico riadattabile in intensità ed a volte talmente ripassato da diventare aggettante, plasticamente simile ad un bassorilievo, per la precisione allo "stiacciato” di donatelliana memoria. |
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Elizabeth Aro. La memoria, l’equilibrio delle forme e l’altro.testo di Patrizia Varone pe rArtsLife Elizabeth Aro ci racconta l’idea di arte che elabora nelle installazioni. Nella personale Los Otros di Torino nel 2016, il filo spinato di velluto si trasformava in un elegante e raffinato oggetto che diventava attraversabile e rimandava al sogno di confini superabili. I tessuti, tra cui il velluto, richiamano un mondo elastico e malleabile di cui l’artista ne è interprete Tra gli artisti che partecipano alla mostra collettiva “Chronos. L’arte contemporanea e il suo tempo” (dal 21 aprile 2017 al 20 maggio 2017 – sedi varie nel bergamasco) sarà presente anche Elizabeth Aro l’installazione di una rete di velluto, Red Net, di 10 metri per 5 a Palazzo Vezzoli a Calcio. “Lavorare con il tessuto per me è utilizzare il materiale più delicato per affacciarmi a un mondo più flessibile, più onirico, elastico, malleabile. Dei tessuti mi piace la sensazione che contengono un ritmo proprio di cui l’artista ne è solo l’interprete. Mi interessano i materiali nobili e i tessuti elaborati. L’Italia è talmente ricca in questo che essermi trasferita qui ha influenzato il mio lavoro”. Elizabeth Aro è argentina e ha stabilito a Milano la sua residenza. Utilizza vari linguaggi e materiali per realizzare le sue installazioni. Molto spesso frutto di una interazione tra scultura e fotografia, le opere che crea hanno una forte impronta concettuale. “Credo che ogni idea tenga un suo modo di esprimersi concreto che si traduce nella fisicità dell’opera d’arte – spiega l’artista -. Lavoro contemporaneamente a vari progetti e il tempo non è importante”. Le opere della Aro sono improntate ad un’azione lenta che rimanda al mondo femminile e al contempo alla rappresentazione del “noi” e alle radici. “Non posso immaginare un’arte che non abbia niente da dire – chiosa Elizabeth Aro -, noi artisti costruiamo un mondo proprio. Mi piace pensare che ognuno di noi fa una ricerca di un universo parallelo del quale vediamo solo la punta del iceberg in una mostra. Entrare nel mondo di un artista è in qualche modo seguire le sue regole. Le mie sono mantenere un silenzio e un’armonia che stanno alla base di tutti i miei lavori. Il lavoro con il tessuto, nel mio caso, è lento perché è l’opera stessa a decidere cosa devo fare”. Elizabeth Aro riconosce le influenze nell’elaborazione del suo modo di fare arte. “All’inizio della mia carriera – racconta -, quando facevo pittura, sia il rigore dei minimalisti sia Joaquin Torres Garcia mi avevano suggestionata notevolmente. Cesar Paternosto, nonostante viva a New York, è sempre stato il mio mentor con le sue opere di visione obliqua. Dopo hanno impresso la loro impronta Eva Hesse e Ana Mendieta, negli anni ’90 Rosmarie Trockel e più di recente Kiki Smith. Mi piace seguire tutta la loro opera, e il rapporto tra lavoro e vita quotidiana. Trovo ingiusto, però, che ancora oggi l’arte delle donne è l’arte delle donne mentre l’arte degli uomini è semplicemente arte”. L’arte di Elizabeth Aro segue svariati orientamenti e sviluppi. “Ci sono due linee fondamentali nel mio lavoro – esplica -. Una è nell’equilibrio sinuoso delle forme che creo mediante una ridefinizione del concetto di bellezza e focalizzando l’attenzione su dettagli inaspettati, memorie quotidiane ed esperienze personali. Trasformo le dimensioni emotive e mentali della condizione umana in opere dove si mescolano fotografia, disegno, stoffa e filo. L’esistenza appare smaterializzata in visioni parziali ed evocative, dotate, però, di grande fisicità. L’altra linea – continua la Aro -, estremamente legata alla prima, è la presenza dell’altro. Un tema l’Altro presente nella nostra contemporaneità. Un tema filosofico che ha interessato profondamente lo scrittore argentino Jorge Luis Borges che ammiro moltissimo, che in realtà si rispecchia nella concreta vita quotidiana. Altro da chi? Diverso in che senso? Chi è l’altro? Il diverso? Siamo anche noi, diversi da loro? Da quale punto di vista diciamo Altro? Iniziando dalla mia propria storia io vivo come altro da 25 anni in Europa. Così ho realizzato una serie di fotografie di formato più grande della misura umana (340 x 170 cm). Sono ritratti di migranti arrivati a Madrid da diversi punti del pianeta. A questi ho aggiunto l’opera filo spinato un’installazione in velluto per la mostra di Torino nel 2016 dove il materiale si converte in un oggetto delicato ed elegante che non separa più. In questa installazione infatti il visitatore può attraversare i fili. Mi piace che rimandi all’idea di oltrepassare i confini. Infine la riattivazione della memoria si impone come tema che sottende al mio lavoro. Estudio sobre nubes è basato su un poema di Jorge Luis Borges in cui si parla del cambiamento delle cose nel tempo. Nel poema si dice che non ci sarà una sola cosa che non sia una nuvola. Le nuvole diventano metafora del pensiero che vuole raggiungere un desiderio. E questo s’interseca con l’interesse a riflettere sullo stato interiore dei sentimenti: i nostri sentimenti cambiano costantemente. Le nuvole rispecchiano questa condizione: si intrecciano come un telaio e dilapidano il loro contenuto etereo tra il cielo e la terra. La poesia finisce dicendo Sei nuvola. Sei mare, sei oblio. Sei anche quello che hai già perduto”. Una personale alla Nuova Galleria Morone di Milano in calendario entro il 2018 e a maggio una mostra su un lavoro di ceramica e seta alla Galleria Canepaneri di Milano sono le ulteriori tappe che attendono l’artista. Elizabeth Aro ha frequentato la Escuela Nacional de Artes Plásticas en Buenos Aires e immediatamente dopo ha viaggiato per tutto il sudamerica documentandosi sui segni e simboli della America indigena. Dall’87 partecipa a mostre collettive quali: VII Biennal Iberoamericana de Arte al Museo, II Bienal de Cuenca, Ecuador e Ideas e imagenes de Argentina nel Bronx Museo de New York. |
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http://www.artslife.com/2017/04/10/elizabeth-aro-la-memoria-lequilibrio-delle-forme-laltro/ | |||
Mundo e Los Otros di Elizabeth Aro - Testo di Federica Maria Marrella per Artspecialday Non avevo mai pensato alla migrazione come una danza. Elizabeth Aro è nata in argentina a Buenos Aires, ha studiado Belle Arti all'accademia Prilidiano Pueyredon di Buenos aires, IUNA. Dal 1990 a 2006 ha vissuto a Madrid e attualmente vive en Italia. Questa affasciante mostra è stata già realizzata a Milano, nella ex chiesa di San Carpoforo dell'Accademia di Brera. Partiamo dalla costruzione dell'esposizione. Ora, pensiamo al titolo. Elizabeth Aro, Ritratto, Los Otros. Una luce lo ilumina dall'alto. I colori, le ombre, la luce che illumina e distrugge il buio. La luce che rende vivo ogni elemento del corpo e del volto. E quella posa come dolorante, come se il corpo, in questo momento, fosse colpito intimamente da qualcosa, o qualcuno.
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Elizabeth Aro- BIG SHOW - Texto de Mireia A. Puigventós en revista Artecontexto www.artecontexto.com Spanish
version La exposición plantea un recorrido intuitivo por la geografía de las emociones que comienza con el gran impulso del motor esencial, el corazón y que se ramifica por toda la sala. Big Show se compone de una serie de esculturas de tela, fotografías y dibujos urdidos, cuyos principales recursos de suturación son el hilo y la aguja. La artista usa la técnica del tejido como un referente artesanal milenario y una actividad simbólica que conecta caminos y trenza las relaciones humanas. Dentro de las secuencias temáticas destaca la instalación Santa Sangre, una masa de apéndices aterciopelados en clave barroca inspirada en la plástica visual del film (1989) con mismo título de A. Jodorowsky. Las extensiones se deslizan como un río de sangre trasladando al espectador la idea de martirio pero también de cordón umbilical, éstas se entrelazan como columnas salomónicas marcando la suntuosidad del rito y el decoro de un escenario carnal. Las prolongaciones membranosas conducen a la serie de Red Net: una pieza central en forma de capullo de tela de araña confeccionada en terciopelo integrado de algodón sintético. En esta ocasión Elizabeth Aro analiza la fisonomía del engaño a partir de una estructura de enredos tan delicada como consistente. Con ello logra proyectar una dimensión psicológica gracias al comportamiento formal de los materiales textiles que emplea. El proceso de ocupación espacial por filamentos confiere al conjunto de la obra un sentido de ritmo interno, que origina la aparición de tramas suspendidas en el aire y de formas anamórficas sobre la superficie. Igualmente la serie Branches, se presenta como un cuerpo de terciopelo cuyas raíces parten del mismo punto y se ramifican originalmente en un walldrawing creando un perfil de líneas abstractas. La combinación del tejido y del dibujo apela a la percepción de una piel orgánica que se regenera sin cesar. El concepto de vía arterial y de corriente sanguínea muta a lo largo del recorrido expositivo estableciendo un diálogo entre la propia obra y el contexto arquitectónico de un modo casi litúrgico. Cada elemento se adapta al entorno que le rodea como un ser vivo. Así mismo, la serie Encompas está formada por un grupo de producciones (escultura, fotografía y dibujos cosidos a mano), concebidas como manifestaciones de nuestro mundo interior. Gran parte de la puesta en escena refleja un concierto de imágenes que se enredan en la mente, señalan pensamientos y obsesiones que inmovilizan el cuerpo. Prueba de ello son las fotografías expuestas que dejan ver el modo en que unos tentáculos actúan como extremidades que apresan al hombre. Del mismo modo, colgado en la última sala de la galería se exhibe un monumental vestido, acompañado de un vídeo en el que aparece una modelo atrapada en la prenda tratando de escapar de sus garras. Ambos ejemplos son alegorías de algo que sucede en el inconsciente y que nos abraza-atrapa entre sus redes. En los dibujos bordados con máquina de coser, la artista se abandona a la improvisación perfilando un juego poético de líneas y figuras cargadas de simbolismo. Son muchas las mujeres artistas que han utilizado la técnica textil para poner de relieve la expresividad estética del método y de los materiales (hilos, lanas, fibras ) que sugieren un mundo de sensaciones táctiles y visuales relacionadas con la experiencia. Principalmente a partir de las reivindicaciones del arte feminista ("The Subversive Stitch: Embroidery and the Making of the Feminine" 1984, Rozsika Parker) y el énfasis en la práctica discursiva de la identidad. Por citar diferentes casos, pensemos en los cuerpos femeninos bordados por Ghade Amer, en la incorporación de la fibra en las esculturas geométricas de Jackie Winsor o en las piezas de arte minimalista de Eva Hesse. El tejido constituye un registro de los pensamientos y su manejo un modo de crear tramas. Elena del Rivero apunta que la lejanía empuja al desafío de trabajar con el cosido por ser una acción que acorta las distancias. Elizabeth Aro ensambla conductos arteriales para llegar a las profundidades del ser humano. Su trabajo conecta con lo visceral y nos transporta a un lugar donde se urden el arte y la vida. English versionOperating
within the human body requires the ability to navigate arterial roads
and avenues which make up a complex network of communicating vessels.
The Argentinean artist Elizabeth Aro presents at the Metta gallery, in
Madrid, Big Show is a group of pieces produced in the last four years,
which focus on the circulation of blood and the way energy travels through
the body,building a map which details the structures behind vital flows. |
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El teatro del Yo y el éxtasis del vacío. texto curatorial de Javier Ferrer, comisario de la exposición "Dreams, sobre la importancia de soñar despierto" Hoy Narciso es el símbolo de nuestro tiempo Gilles Lipovetsky Será Nietszche, quien explicará la fortaleza de los sueños en su innegable carácter privativo, y dirá ¡Nada es más enteramente vuestro que vuestros sueños. Sujeto, forma, duración , actor, espectador, en estas comedias sois completamente vosotros.En nuestra contemporaneidad el Yo ocupa todo el espacio disponible, vivimos una mutación antropológica que nos vuelca hacia una edad de oro del individualismo, por ese motivo toda la representación postmoderna se explica desde el yo, hacia el yo, en el yo, y para el yo.La res publica está desvitalizada, las grandes cuestiones filosóficas neutralizadas, la banalización instaurada.Sólo sobrevive la esfera privada, la hiperinversión de lo individual es manifiesta, es el fin del homo politicus y el renacimiento de Narciso.Importa vivir el presente, el futuro ya no es lo que era, y el pasado no importa, no hay sentido de continuidad histórica. En ese escenario del vacío, es necesario proteger y reciclar el aquí y ahora, lo inmediato es definitivo, sin tener en cuenta tradición ni posible evolución. En la era del yo, y Narciso obsesionado no sueña mas que en él mismo, trabaja en su propia liberación y renuncia al amor por los otros, en pos de un autoerotismo ontológico. El inconsciente del homo psicologicus, antes de ser imaginario o simbólico, teatro, máquina o artefacto, es un agente provocador cuyo efecto principal es un proceso de despersonalización, de encuentro con lo reptiliano. Lipovetsky lo describe de esta forma, Ampliando así el espacio de la persona, incluyendo todas las escorias en el campo del sujeto, el inconsciente abre el camino a un narcisismo sin límites.[1] No obstante lo más demoledor, no es la pérdida del universo social, sino la pérdida de las propias referencias del Yo, el ego es un conjunto impreciso, no es ya una realidad rígida regida por principios, es un magma sin sustancia, sin voluntad, sin centro de gravedad, sin jerarquía, a la deriva. Elizabeth Aro, nos presenta un remake de la obra de Man Ray Noire et Blanche sin la máscara africana, a cambio el rostro del soñante se envuelve en un bucle, en un círculo áureo, de campos magnéticos que atrapan. Parece extraña metáfora del viaje a ninguna parte que emprende el ser humano actual, zarpar sin rumbo en una búsqueda sin aventuras, sin voluntad de determinación, en constante autoabsorción. En esta obra el yo se convierte en un espacio flotante, en el que se licua y se desvanece la identidad, en el que el culto a la personalidad funciona como agente de la despersonalización, una disponibilidad pura, adaptada a las permutaciones y experimentaciones de espíritus caprichosos. Elizabeth que se declara geógrafa de las emociones, una actividad simbólica que conecta caminos y trenza las relaciones humanas, se dirige a la psique, y cose con determinación el tejido de nuestra materia inasible. [1] Gilles Lipovetsky, La era del vacío, Anagrama, Barcelona 2009 |
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Il
silenzio di Elizabeth - Olga Gambari
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Elizabeth
Aro presentata da Maria Cristina Strati - revista online Spruzz Il lavoro di Elizabeth Aro si distingue fin dal primo sguardo per le qualità insieme potentemente estetiche e profondamente concettuali dei risultati. Credo che questa premessa costituisca la cifra fondamentale che consente di comprendere a fondo la sua ricerca. In queste opere infatti i due aspetti potenzialmente tra loro contrari (estetico e concettuale), si incontrano e si conciliano in maniera del tutto armoniosa, anzi cogente. Il lavoro appare completo nellequilibrio sinuoso e sempre dinamico delle forme, che sono disegnate insieme in sé stesse, isolatamente, e dal ripiegarsi su se stesse delle stoffe cucite. La delicatezza e la ricchezza dei materiali impiegati (come velluto o broccati), così come le tecniche elaborate e antiche a cui lartista ricorre (latto del cucire e del ricamare che ritorna tanto nelle installazioni e nelle fotografie) colpiscono lattenzione del fruitore. Ma soprattutto, e allo stesso tempo, il lavoro rivela una qualità di contenuto che va ben oltre un rigido concettualismo, esprimendo le proprie tensioni, pensieri e riferimenti culturali proprio attraverso la bellezza del risultato. Tale bellezza non va intesa nel senso di un apparire piacevole e conciliante, come se il fare dellartista indulgesse nelle debolezze dello spettatore per captarne la benevolenza. Al contrario qui la bellezza delle opere si impone con forza, pur senza mai cadere in eccessi, facili seduzioni visive o effetti inutilmente ridondanti. In tal senso il lavoro di Elizabeth Aro potrebbe essere definito come simbolico. Non nel senso delle correnti storico artistiche novecentesche, ma per la caratteristica propria dei risultati, in cui forma e contenuto diventano un tutto unico e si identificano. Si potrebbe dire che, se per Benedetto Croce lopera darte nasceva dallaccordo perfetto tra forma e contenuto, che erano però concepiti come due concetti del tutto diversi e tra loro separati, qui siamo di fronte a un punto di vista radicalmente differente. La ricerca artistica di Elizabeth Aro sembra piuttosto aver da fare con la nozione di simbolo di matrice hegeliana, secondo la quale lopera darte simbolica sintreccia al proprio contenuto non attraverso la forma, come per suo mezzo, ma in quanto essa è ontologicamente questa stessa forma, e in essa si articola e si esprime quindi al contempo, tanto a livello percettivo quanto concettuale. In altre parole qui le dimensioni del pensiero, del poetico e del vissuto psicologico si fanno oggetto, e oggetto bello. Come accadeva nellarte barocca celebrata in tempi moderni da Benjamin e da Deleuze, qui, nelle ondulazioni dei tessuti e nelle forme curvilinee, si dispiega un fare e un sentire eminentemente poetico. Tutte queste caratteristiche si articolano tanto nelle forme oggettive dei lavori, quanto nello spazio che esse delineano o letteralmente scolpiscono intorno a sé, attraverso il serpeggiante andamento delle sagome create con la stoffa cucita. In tal modo una scultura-vestito diventa habitus, rimandando a un ambito tanto etico quanto concettuale. La scultura cattura emozioni, pensieri e riflessioni, che fisicamente paiono imbrigliarsi nelle trame dei tessuti per essere poi liberate, al livello della percezione e della sensibilità estetica. Un altro elemento fondamentale è costituito dal fatto stesso che la stoffa sia cucita, spesso a mano. Il cucire è un fare costruttivo e paziente, che produce realtà nuova senza ricorrere ad alcuna forma di hybris. Esso è culturalmente e tradizionalmente compreso come gesto propriamente femminile: richiama una qualità del sentire e di approcciarsi alla realtà particolarmente profondo e orientato allosservazione, alla calma saggezza propria dellantico mondo matriarcale. Dal punto di vista estetico tutto ciò si traduce in unacuta esperienza di percezione insieme visiva e tattile, che si accompagna a riferimenti talora poetici, talora più riflessivi e filosofici. Due domande all'artista: Come
si coniuga nella tua ricerca la qualità estetica con quella concettuale
del lavoro? L'estetica e il concetto secondo me sono due cose che non
possono andare separate. Considero l'estetica molto importante nell'arte,
vedo la bellezza come un valore, anche in questo momento storico. Oggi
l'arte sembra così preoccupata di raccontarci tutti tipi di concetti
e situazioni che ci portano a interrogarci su argomenti sociali e a sentirci
responsabili di essi e anche ossessionata con la parte più crudele,
infelice e sgradevole della realtà. Sembrerebbe che ci stiamo dimenticando
della bellezza. Perché hai scelto di trasferirti e lavorare in Italia? Con un passato d' immigrazione italiana e spagnola io non ho fatto altro che completare il circolo. Lo scrittore argentino Julio Cortazar diceva che noi argentini siamo circolari. I miei avi, spagnoli, portoghesi e italiani hanno cominciato questo viaggio che io continuo adesso, che forse sarà infinito. Noi argentini siamo come giocatori di questo meccanismo circolare tra il tempo e lo spazio. Ho vissuto 15 anni in Spagna e questo ha marcato fortemente il mio rapporto con il colore e i contrasti, la luce forte e le ombre profonde. Adesso, qui in Italia, cerco di capire quale esperienza sarà così forte da modificare il mio modo di lavorare. Alla fine tutti cerchiamo qualcosa, forse non facciamo altro che cercare un posto nel tempo.
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ELIZABETH
ARO - JAVIER GONZÁLEZ PANIZO
Pero, en el fondo, no es algo tan extraño a nuestras filosofías.
Ser es siempre ser otra cosa, pensar es siempre el pensamiento de otra
cosa. En definitiva, en un mundo donde ser y deber ser nunca coinciden,
la distancia que Marshall McLuhan postuló como esencia del arte
se derrumba en un aleatoriedad que no propone, eso sí, sino lo
mismo una y otra vez.
Su propuesta no es nada sencilla y a menudo la dificultad del discurso
hace que los árboles no dejen ver el bosque de una manera tan precisa
como la que ensayamos aquí. Porque, además de lo hasta aquí
dicho, también hay juegos de percepción basados en los finos
materiales por ella empleados, también está la incomprensiblemente
querida problemática de los objetos a la hora de ocupar un lugar,
y la dialéctica público/privado como consecuencia primera
del hecho de problematizar las referencias del espacio. |
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